Adalberto García López: “Se oltre il mio corpo”

 

 

 

Poesia tradotta da Erika Romano (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

SE OLTRE IL MIO CORPO

 

se oltre soltanto

un mancato tocco

un gesto vuoto

un battito mi lasciasse

mi lasciasse qualcosa di minuscolo

minuscolo come un dente di leone

come la sporcizia che si annida sotto le unghie

dunque

solo lì

osserverai se resto

se resto tra lerba bassa

o nei vasti giardini delloblio

come il fiore che strappato

ancora rimane nel distratto olfatto

di quelli che percorrono

vedendo

forse la strada

ma non la rotta

e se sono assente

ovverosia

in nessun luogo mi trovo

in nessun luogo mi ricordo

nominerò tutte le cose

e metterò una canzone

nella bocca di nessuno

qualcuno forse attende il mio richiamo

 

 

SI DESPUÉS DE MI CUERPO

 

si después solamente

un quebrado tacto

un gesto vacío

un latir me quedara

me quedara algo minúsculo

minúsculo como un diente de león

como la mugre que se junta en las uñas

entonces

ahí solo

observara si permanezco

si permanezco entre la baja hierba

o en los amplios jardines del olvido

como la flor que cortada

aún permanece en el desatento olfato

de los que cruzan

viendo

quizás el camino

pero no el recorrido

y si estoy ausente

es decir

en ningún lado me encuentro

en ningún lado me recuerdo

voy a nombrar todas las cosas

y pondré una canción

en los labios de nadie

alguien quizás atienda mi llamado

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Karmelo C. Iribarren: “Comprensione”

 

 

Poesia tradotta da Benedetta Belfioretti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

COMPRENSIONE

 

A quelle donne

che quando ci incrociamo per strada

lasciano cadere quegli sguardi

tristi, carichi

di nostalgia infinita,

 

voglio dirgli da qui, da questa poesia

che neanche s’immaginano quanto penso a loro,

e che le capisco perfettamente.

 

Non a caso mi succede

lo stesso con le loro figlie.

 

 

COMPRENSIÓN

 

A esas mujeres

que cuando nos cruzamos por la calle

dejan caer esas miradas

tristes, cargadas

de nostalgia infinita,

 

quiero decirles desde aquí, desde este poema

que ni se imaginan lo que pienso en ellas,

y que las entiendo perfectamente.

 

No en vano me sucede

lo mismo con sus hijas.

Karmelo C. Iribarren: “Piccoli cataclismi”

 

 

 

Poesia tradotta da Benedetta Belfioretti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

PICCOLI CATACLISMI

 

Che proporzioni smisurate

acquisisce ciò che è minuscolo

se le condizioni gli sono favorevoli.

 

Pensa, per esempio, a una moneta

che, nel bel mezzo della notte, cade

a terra nella stanza:

sembra un piccolo cataclisma,

ma quello stesso pomeriggio

non avrebbe significato nulla.

 

A volte tutto si riduce a questo,

a mettersi seduti e pensarci.

 

 

PEQUEÑOS CATACLISMOS

 

Qué proporciones desmesuradas

adquiere lo minúsculo

si las condiciones le son favorables.

 

Piensa, por ejemplo, en una moneda

que, en mitad de la noche, cae

al suelo del cuarto:

parece un pequeño cataclismo,

pero esa misma tarde

no hubiese significado nada.

 

A veces todo se reduce a eso,

a sentarse y pensarlo.

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Foto de Cordwainer CC BY SA 3.0 (Wikipedia)

Karmelo C. Iribarren: “Ingenuo”

 

 

Poesia tradotta da Benedetta Belfioretti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

INGENUO

 

Credevo che, come il mare

una notte d’estate, il tuo sorriso

mi invitava a sommergermi

(unicamente

a me)

nelle tue acque

profonde.

 

Però spuntò la luna

e vidi la spiaggia piena

di esausti nuotatori.

 

 

INGENUO

 

Creí que, como el mar

una noche de verano, tu sonrisa

me invitaba a sumergirme

(únicamente

a mí)

en tus aguas

profundas.

 

Pero salió la luna

y vi la playa llena

de exhaustos nadadores.

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Foto de Cordwainer CC BY SA 3.0 (Wikipedia)

 

Karmelo C. Iribarren: “La poesia”

 

Poesia tradotta da Benedetta Belfioretti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

LA POESIA

 

I parchi in autunno

sotto la pioggia,

i bar aperti alle ultime ore della notte,

gli occhi profondi

di alcune donne,

gli alberghi, una stazione deserta

una domenica pomeriggio d’inverno

vista dal finestrino

del treno…

 

La poesia, anni fa, era solita frequentare

questi luoghi,

lo so

perché la incontravo molte volte.

 

Poi, un giorno, ha smesso di venire.

 

Un peccato.

Neanche s’immagina

ciò che potrei farle ora

con la mia esperienza.

 

LA POESÍA

 

Los parques de otoño

bajo la lluvia,

los bares últimos de la madrugada,

los ojos abismáticos

de algunas mujeres,

los hoteles, una estación desierta

un domingo de invierno por la tarde

vista desde la ventanilla

del tren…

 

La poesía, hace años, solía frecuentar

esos lugares,

lo sé

porque yo me la encontraba muchas veces.

 

Luego, un día, dejó de aparecer.

 

Una pena.

Ni se imagina

lo que podría hacerle ahora

con mi experiencia.

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Foto de Cordwainer CC BY SA 3.0 (Wikipedia)

Karmelo C. Iribarren: “Gli ombrelli, i taxi”

 

 

Poesia tradotta da Benedetta Belfioretti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

GLI OMBRELLI, I TAXI

 

 

Per Xabier Etxart

 

 

L’ho appena buttato,

 

35 minuti sotto la tempesta

-aspettando un maledetto

taxi-

non ce l’ha fatta.

 

Ma come si è comportato.

 

Questa è la differenza:

i taxi sono come alcuni amici,

quando ne hai più bisogno non ci sono mai.

 

Gli ombrelli, invece, muoiono per te.

 

 

LOS PARAGUAS, LOS TAXIS

 

 

Para Xabier Etxart

 

Acabo de tirarlo,

 

35 minutos bajo la tormenta

-esperando un maldito

taxi-

han podido con él.

 

Pero cómo se ha portado.

 

Esa es la diferencia:

Los taxis son como ciertos amigos,

nunca están cuando más los necesitas.

 

Los paraguas, en cambio, mueren por ti.

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Foto de Cordwainer CC BY SA 3.0 (Wikipedia)

Isabel González Gil: “Lui ti dice”

 

 

 

Poesia tradotta da Federica Zenobi (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca De Presa

 

 

Lui ti dice

il tempo sta cambiando

è magnifica questa luce  si avvicina la primavera

Non ti dice 

che gli si è sfigurata la faccia in sogno la 

scorsa notte

che teme che gli crescano le arpie 

come ad altri le unghie dei piedi o la voglia di viaggiare

Ti dice 

con questo tempo non posso fare lezione

sto cercando lavoro per me

Ti spiega

i progetti che annota la mattina magari

il pinot che comprò al supermercato

e si lamenta del tempo aspettando

e dei prezzi che salgono

Non menziona

che si fida e non si fida

che ha sentito

il malato e il codardo e il frustrato

spuntare dalla sua bocca

No, lui ti dice 

vedo opzioni

il presidente di turno

Non ti dice 

che conta solo sulla sua pelle tredici fantasmi

che oggi fa colazione in braccio a un’altra mentre ti dice 

è magnifica questa luce

No, non ti dice 

E le parole ci ombreggiano come navi

vuote

che lasciano sagome bianche in questa sponda

*

 

Entrambi guardiamo

oltre una finestra diversa della stessa stanza

 

la tua dà a Nord

su una nomade che lotta

per la sua capanna e cibo

strade dell’Arizona

picchi dell’Huascarán

paramo di Oceta 

dune del deserto di Tirari

sole di mezzanotte in Alaska

 

la mia finestra dà a Sud-est

e oltre sogna altri paesaggi

dove la luce diventa dorata

tra pini e acacie

odora di resina, alghe e roccia salmastra

di umida freschezza della terra

per i sentieri si sentono

gli dei del mediterraneo

sono tornati

all’agorà e alla cetra

 

dalla finestra di un’altra stanza

in cui stiamo in silenzio

 

 

 

 

Él te dice

el tiempo está cambiando 

es magnífica esta luz   se acerca la primavera

No te dice

que se ha desfigurado la cara en sueños la última noche

que teme que le crezcan las arpías 

como a otros las uñas de los pies o las ganas de viajar

Te dice

con este tiempo no puedo dar clase

estoy buscando trabajo de lo mío

Te explica 

los proyectos que anota para mañana tal vez

el ribera que compró en el supermercado

y se queja del tiempo esperando

y de los precios que suben

No menciona

que confía y no confía

que ha sentido

al enfermo y al cobarde y al frustrado

asomando por su boca

No, él te dice 

veo opciones

el presidente de turno 

No te dice

que cuenta solo en su piel trece fantasmas

que hoy desayuna en brazos de otra mientras te dice

es magnífica esta luz

No, no te dice

Y las palabras nos ensombrecen como barcos vacíos 

que dejan siluetas blancas en esta orilla

 

*

 

Cada uno miramos

tras una ventana distinta de la misma pieza

 

la tuya da al Norte

a un nómada luchando 

por su cabaña y sustento

carreteras de Arizona

picos del Huascarán 

páramos de Ocetá 

dunas del desierto de Tirari

soles de medianoche en Alaska

 

mi ventana mira al Sudeste

y tras ella sueña otro paisaje

donde la luz se vierte dorada 

entre pinos y acacias

huele a resina, algas y roca salobre

a frescor húmedo de la tierra 

por los caminos se escucha

a los dioses del mediterráneo 

han regresado

al ágora y a la cítara

 

por una ventana distinta de esta pieza

en la que tanto callamos

 

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Fotografía de José Amador Martín (Crear en Salamanca)

Isabel González Gil: “Io ti dico”

 

 

 

Poesia tradotta da Federica Zenobi (Università degli Studi di Macerata) e letta  da Francesca De Presa

 

 

Io ti dico che prima della creazione 

della terra e dei cieli

c’era solo acqua

c’era solo acqua prima di Dio

 

una fossa nella grande palpebra

Tu mi dici di no

 

che al principio c’era la parola

che ci ha fatto tutti a pezzi 

che i canti immortali dell’oceano

 

sono fantasmi che portano in mare aperto 

i pescatori

che l’acqua è lo specchio

delle sfere celesti che orbitano

dall’amore al verbo 

 

Io taccio e mi nascondo per abitudine

l’amo dorato che mi solca il petto

dal giorno in cui entrai nell’oceano

desiderando quella parola per prima

 

 

 

 

Yo te digo que antes de la creación

de la tierra y de los cielos

solo había agua

que hubo agua antes del Dios

 

una sima en el gran párpado 

Tú me dices que no

 

que en el principio era la palabra

de la que todos fuimos añicos 

que los cantos inmortales de Océano

son fantasmas que traen de alta mar 

los pescadores

que el agua es el espejo

de las esferas celestes que orbitan

de amor al verbo

 

Yo me callo y escondo por rutina

el anzuelo dorado que me surca el pecho

desde el día en que entré en el Océano

deseando aquella palabra primera

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Fotografía de José Amador Martín (Crear en Salamanca)

Isabel González Gil: “Arriviamo in ritardo”

 

 

 

Poesia tradotta da Federica Zenobi (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

Arriviamo in ritardo. Avevano già venduto l’alba, la cattedrale, i cortili.

Tracciavano strade nuove, alzavano molti mattoni, vicoli ciechi su un centro commerciale e scheletri di alberi.

Arrivavamo dopo. Vivremmo lì, in una gabbia d’aria.

Vivremmo in malandate periferie che dividono l’autostrada, in quartieri malandati, in angoli disegnati senza richiesta.

Mandarono le scavatrici, appagate dal valore urbano. Bisognava scendere – salire – scendere, superare l’impossibile arteria.

Arrampicarsi sui cavalcavia o dormire durante l’ora di lavoro.

Dormire la vita di altri. Immergere l’ira della notte scarsa. Arrivavamo dopo.

Non rimanevano liane, né pomeriggi per gli ultimi arrivati. Ci eravamo venduti per un falso bagliore. Non c’era eredità.

Ingoiavamo spade a forma di ostia. Ingoiavamo visi, ognuno nubile, più etereo. Scherzavamo sull’essere contorti.

Arrivavamo in ritardo.

 

 

 

 

Llegamos tarde. Ya habían vendido la aurora, la catedral, los patios.

Trazaban avenidas nuevas, levantaban moles de ladrillo, callejones sin salida a un centro comercial y esqueletos de árboles.

Llegábamos después. Viviríamos allí, en una de las jaulas de aire. 

Viviríamos en desvencijados arrabales que seccionan autopistas, en aceras resecas, en esquinas dibujadas sin grito.

Mandaron sus excavadoras, la vanguardia ahíta de valor urbano. Había que bajar–subir–bajar atravesar la imposible arteria.

Trepar por desniveles o dormir la hora maquinal.

Dormir vida de otros. Sumergir la ira de escasa noche. Llegábamos después.

No quedaban enredaderas ni tardes para los recién venidos. Nos habían vendido por un falso brillo. No había heredad. 

Tragábamos espadas con forma de oblea. Engullíamos rostros, a cada cual más núbil, más etéreo. Bromeábamos con el ser desencajado. 

Llegábamos tarde.

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Fotografía de José Amador Martín (Crear en Salamanca)

Isabel González Gil: “Tornare”

 

 

Poesia tradotta da Federica Zenobi (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

Tornare

raccogliere i frammenti

di un’immagine precedente

con mano

cieca

sorda

ammutolita

specchio rotto

che il tempo ha affilato

inventare una storia in cui combacino

restituire i prestiti ai loro padroni

tutti sembrano pezzi superflui o mancanti

 

 

 

 

Volver 

recoger los fragmentos 

de una imagen previa

con mano

ciega

sorda

enmudecida

espejo roto 

que el tiempo ha afilado

inventar una historia donde encajen 

devolver las prestadas a sus dueños

todas parecen piezas sobrantes o faltantes

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Fotografía de José Amador Martín (Crear en Salamanca)