Andrea Rivas: “Delirium Nocturnum”

 

 

 

Poesia tradotta da Grazia Cortellino (Università degli Studi di Macerata)

 

delirium nocturnum

 

I

Agli ordini di Mrs. Dalloway 

esci a comprare fiori per riempire 

il boccale di birra che hai bevuto con lui. 

Fiori del suo colore 

fiori secchi per decorare il non stare 

il non essere con nessuno 

Però i fiorai della città  

non conoscono il colore  

Del fuoco rotto. 

Nessuno ha potuto dipingerli, 

– anche se la regina ha  di far rotolare le teste  – 

da nessuna parte è stato trovato un pigmento che potesse imitare 

Il  tenue ruggito di questa voce 

 

II

Si sfila la notte 

La bottiglia dall’alto dello scaffale 

Sputa tue parole. 

Leggo la tua paura. 

La tua debolezza mi crea un posto 

per coprirmi dalle ombre: 

ciò che è fragile che ormai non nascondi  

che ci apre uno spazio 

dove sostenere lo sguardo. 

 

III 

Siamo il vuoto che è rimasto dentro 

la polvere che si accumula nel fondo 

È la tua ombra imbevuta nella mia paura 

Dando spessore 

A ciò che è invisibile. 

 

 

 

delirium nocturnum

 

I 

A la orden de Mrs. Dalloway 

sales a comprar flores para llenar 

el casco de cerveza que bebiste con él 

Flores de su color

flores secas para adornar el no estar 

Pero las florerías de la ciudad 

no conocen el color 

del fuego roto. 

Nadie pudo pintarlas  

 – y aunque la reina exigió que rodaran cabeza- 

En ningún lugar se halló un pigmento que imitara  

El rugido tenue de esa voz 

 

 II 

Se desfunda la noche 

la botella desde lo alto del librero

escupe palabras tuyas. 

Leo tu miedo. 

Tu debilidad me hace un sitio 

para cubrirme de las sombras: 

es lo frágil que ya no escondes

que nos abre un lugar

donde sostenemos la mirada. 

 

III

somos el vacío que ha quedado dentro

el polvo que se acumula en el fondo

es tu sombra impregnada en mi miedo

dándole espesor

a lo invisible. 

 

Fotografía: Leviatán, Periódico cultural con un toque político.

Andrea Rivas: “Papà”

 

 

 

Poesia tradotta da Grazia Cortellino (Università degli Studi di Macerata)

 

 Papà

 

I fatti sono questi,

Un cancro al tuo stomaco mi ha lasciato senza padre

Quando io avevo due anni

 

Non ho mai chiesto di te

Non ho mai saputo la data del tuo compleanno né il giorno del tuo funerale

& ho sempre creduto che fossi ingegnere

Fino a quando ho sentito che neanche tu capivi di numeri

&  quel giorno ho accettato che forse ti sarebbe piaciuto

Sapere che sono una poetessa

 

Ho quasi raggiunto la tua età papà il mio ragazzo è già tre anni più grande di te

& quando litighiamo penso

a ciò che mi consiglieresti di fare ma cosa può consigliarmi

un uomo a metà, un uomo debole che non conosco & che non ha avuto le forze

di rimanere e di fare quello che doveva fare

che era crescere per sua figlia & darle consigli

quando anche lei sarebbe cresciuta & avrebbe avuto un ragazzo

& si sarebbe sentita persa.

 

Forse neanche a te hanno dato consigli papà

& per questo sei morto & non è stata colpa tua

ma di chi non ti ha fatto ragionare

quando ti stavi precipitando verso la morte

o sei andato via dal mio mondo perche eri stanco dei suggerimenti

& hai fatto crescere tumori che ti portassero a riposare lontano

 

Riposi papà

anche quando senti tutti i giorni le mie lamentele

il mio odio notturno verso la tua debolezza,

a essere morto con una lingua

che non mi hai regalato e che non mi hai insegnato a parlare,

-Papà vorrei scriverti in arabo  & mi fa arrabbiare

perche non hai saputo lasciare una mia voce che sapesse parlare del mio

sangue-

& dopo il mio rimorso per non aver capito

che tu non potevi decidere di rimanere?

 

Quando cancello il tuo cognome dal mio nome

non ti nego

è solo come quando mi rifiuto di vedere i video

che registrano i tuoi movimenti e la tua voce

è come negarmi di premere play al VHS

dove dice  quando sei nato e cosa ti piaceva mangiare

se odiavi i poeti

&  se mi volevi bene & se sognavi

o se eri un buon amico o un nefasto perdente

 

Pero papà voglio che tu capisca

Che io non posso sapere queste cose

Che afferrarti mi fa male

Che la tua immagina vuota è la cosa più accogliente

& la più bella eredità che potessi chiedere

Che questa poesia esiste solo perche so che

Finché non si avvii il videoregistratore

Posso disegnare il tuo viso e chiamarti papà

& chiederti consigli & pensare che stai ascoltando

E che vuoi ascoltare e che ti piace leggere poesie

Che ti piace che ti parli e che ti chieda consigli

& quando si riproduca il sapere papà & sappia chi sei

& non mi rimane nulla da sapere di te

la poesia si chiude

& tu muori papà

muori.

 

 

 

الاب

 

Los hechos son estos

un cáncer en tu estómago me dejó sin padre

a los dos años 

 

 Nunca pregunté por ti nunca supe

tu cumpleaños ni la fecha de tu funeral

& siempre creí que eras ingeniero

hasta que en algún lado escuché que tú

tampoco entendías de números & ese día

asumí que quizá te hubiera gustado saber

que soy poeta 

 

Casi alcanzo tu edad papá mi novio ya es tres años más grande que tú

& cuando peleamos pienso

qué me aconsejarías hacer pero qué puede aconsejarme

un hombre-a-medias un hombre débil que no conozco & que no tuvo las

fuerzas

para quedarse a hacer lo que tenía que hacer

que era crecer para su hija & darle consejos

cuando ella también creciera & tuviera un novio

& estuviera perdida 

 

Quizá a ti tampoco te dieron consejos papá

& por eso te moriste & no fue tu culpa

sino de los que no te hicieron entrar en razón

cuando te abalanzabas hacia la muerte

o te fuiste de mi mundo porque estabas harto de sugerencias

& creciste tumores que te llevaran a descansar lejos 

 

¿Descansas papá

aún cuando escuchas mis quejas diarias

mi odio nocturno a tu debilidad

a haberte muerto con una lengua

que no me regalaste que no me enseñaste a hablar

-papá yo quiero escribirte en árabe & me da rabia

porque tú no supiste dejarme una voz mía que supiera hablar de mi sangre-

& luego mi arrepentimiento por no saber entender

que tú no podías decidir quedarte? 

 

Cuando tacho tu apellido de mi nombre

no te niego

es solo como cuando me niego a ver los videos

que guardan tus movimientos y tu voz

como negarme a darle play al VHS

donde dice cuándo naciste & qué te gustaba comer

si odiabas a los poetas

& si me querías & si tenías sueños

o si eras un buen amigo o un nefasto perdedor

pero papá quiero que entiendas

que yo no puedo saber esas cosas

que aprehenderte me hace daño

que tu imagen vacía es lo más cálido

& la mejor herencia que puedo pedirte

que este poema solo existe porque yo sé

que mientras no inicie la videocasetera

yo puedo dibujarte un rostro & llamarte papá

& pedirte consejos & pensar que escuchas

que quieres escuchar que te gusta leer poemas

que te gusta que te hable que te gusta que te pida consejos

& cuando se reproduzca el conocimiento papá & sepa quién eres

& no me quede nada más por saber de ti

el poema se cierra

& te mueres papá

te mueres. 

 

Fotografía: Leviatán, Periódico cultural con un toque político.

Mario Bojórquez: “Casida del odio”

 

 

 

Poesia tradotta da Sofia Mercatelli (Università degli Studi di Macerata)

 

casida del odio

 

I

Tutti abbiamo una particella di odio

un lieve filamento tingendo di azzurro il giorno

in un tetro letto di magnolie.

 

 

II

Tutti

abbiamo una particella di odio macerando i suoi succhi,

incorniciando la sua allegra fioritura,

  la sua frutta languida.

Ma che mari

oh, che mari, che abissi tempestosi colpiscono

contro il petto e al posto di sorrisi aprono artigli zanne?

Alza il mare la sua sottoveste fiorita, sotto la sua pelle va

crescendo un’onda frastagliata nella sua futile vivace sfrontatezza.

Alza il mare il suo odio e il rumore si agita contro i muri

casti dell’acqua e dietro, più dietro viene un’altra onda, un altro fermento,

un’altra forma segreta che il mare da al suo odio, si alza lenzuolo

di schiuma, si alza costellato di urgenze; è monumento

nell’acqua della furia senza freno.

 

 

III

Tutti abbiamo

una particella di odio

e quando il ferro arde nei fianchi segnati

e si sente l’odore della carne bruciata

c’è un grido profondo, una maschera a fuoco

che incendia le parole.

 

 

IV

Tutti abbiamo una

particella di odio.

E i nostri cuori

che furono creati per accogliere amore

contorcono i muscoli, bombardano

i succhi esasperati dell’ira.

E i nostri cuori

un altro momento così pieno

contraggono ogni fibra

e esplodono.

 

 

V

Tutti abbiamo una particella

di odio

un fuoco alto bruciandoci da dentro

un prurito letale che pervade i nostri organi.

Sì, perché dove prima c’era

sangue caldo, fioriture di ossa esplosive,

midollo senza tarlo,

caparbiamente, ostinatamente,

va crescendo in noi l’odio con la sua lingua scottata

per l’aceto terribile dell’assurdità.

 

 

VI

Tutti abbiamo una particella di

  odio

e quando l’indice si agita segnalando con il fuoco

quando imprime nell’aria la sua traccia del vile,

quando si erge pieno falange per falange,

Oh! che pioggia di acidi rimproveri,

che difficili continenti si contraggono.

Il gesto, la mossa, la smorfia

il dito accusatorio

e l’unghia,

oh! L’unghia,

il tendine rotella affondando nel petto.

 

 

VII

Tutti abbiamo qualcosa da rimproverare a mondo,

la sua inesatta porzione di piacere e di melanconia,

la sua lenta fastidiosa virtù di rimanere più in là,

 in un’altra parte,

dove le nostre mani si chiudono con rumore

afferrate all’aria della delusione; anche la sua

perché no, condizione di margine, di estrema freddezza,

di abisso cieco; la sua inopportunità, le sue premure.

 

 

VIII

Tutte abbiamo qualcosa da dire sugli altri

e tacciamo.

Ma sempre dietro al suo sorriso

dei denti felici, perfetti e bianchissimi

nel sonno distruggiamo volti, corpi, città.

Nessuno potrà mai contenere la nostra furia.

Siamo assassini sorridenti, piromani,

amabili carnefici.

 

 

 

IX

(CODA)

In qualche parte del nostro corpo

c’è un allarme improvviso

un termostato avverte inviando delle pulsioni

qualcosa che dice:

 ora

e sentiamo il sangue contaminato e profondo a punto di zampillare dagli occhi

le mandibole tremano e masticano boccate d’aria avvelenata e la spina

dorsale, scossa elettrica, piano strozzato e tritato da un’ascia e i peli,

la barba e lo scroto, si rizzano porcospino e le mani si gonfiano di lividi

vene, il corpo si agita per le convulsioni violente e tutto dura, circa, un secondo

e un ultimo fiotto di sangue ossigenato ci riporta alla calma.

 

 

 

Leído por Blanca Palomero

casida del odio

 

I

Todos tenemos una partícula de odio

un leve filamento dorando azul el día

en un oscuro lecho de magnolias.

 

 

II

Todos

tenemos una partícula de odio macerando sus jugos,

enmarcando su alegre floración,

su fruta lánguida.

¿Pero qué mares

ay, qué mares, qué abismos tempestuosos golpean

contra el pecho y en lugar de sonrisas abren garras colmillos?

Levanta el mar su enagua florecida, debajo de su piel va

creciendo una ola dispersada en su vacua intrepidez elástica.

Levanta el mar su odio y el estruendo se agita contra los muros

célibes del agua y atrás y más atrás viene otra ola, otro fermento,

otra forma secreta que el mar le da a su odio, se expande sábana

de espuma, se alza torre tachonada de urgencias; es monumento

en agua de la furia sin freno.

 

 

III

Todos tenemos

una partícula de odio

y cuando el hierro arde en los flancos marcados

y se siente el olor de la carne quemada

hay un grito tan hondo, una máscara en fuego

que incendia las palabras.

 

 

IV

Todos tenemos una

partícula de odio.

Y nuestros corazones

que fueron hechos para albergar amor

retuercen hoy los músculos, bombean

los jugos desesperados de la ira.

Y nuestros corazones

otro tiempo tan plenos

contraen cada fibra

y explotan.

 

 

V

Todos tenemos una partícula

de odio

un alto fuego quemándonos por dentro

una pica letal que horada nuestros órganos.

Sí, porque donde antes hubo

sangre caliente, floraciones de huesos explosivos,

médula sin carcoma,

empecinadamente, tercamente,

nos va creciendo el odio con su lengua escaldada

por el vinagre atroz del sinsentido.

 

 

VI

Todos tenemos una partícula de

odio

y cuando el índice se agita señalando con fuego,

cuando imprime en el aire su marca de lo infame,

cuando se erecta pleno falange por falange,

¡Ah! qué lluvia de ácidos reproches,

qué arduos continentes se contraen.

El gesto, el ademán, la mueca,

el dedo acusativo

y la uña,

¡ay! la uña,

corva rodela hincándose en el pecho.

 

 

VII

Todos tenemos algo que reprocharle al mundo,

su inexacta porción de placer y de melancolía,

su pausada enojosa virtud de quedar más allá,

en otra parte,

donde nuestras manos se cierran con estruendo

aferradas al aire de la desilusión; su también,

por qué no, circunstancia de borde, de extrema lasitud,

de abismo ciego; su inoportunidad, sus prisas.

 

 

VIII

Todos tenemos algo que decir de los demás

y nos callamos.

Pero siempre detrás de la sonrisa

de los dientes felices, perfectos y blanquísimos

en sueños destrozamos rostros, cuerpos, ciudades.

Nadie podrá jamás contener nuestra furia.

Somos los asesinos sonrientes, los incendiarios,

los verdugos amables.

 

 

IX

(CODA)

En alguna parte de nuestro cuerpo

hay una alarma súbita

un termostato alerta enviando sus pulsiones

algo que dice:

 ahora

y sentimos la sangre contaminada y honda a punto de saltarse por los ojos,

las mandíbulas truenan y mascan bocanadas de aire envenenado y la espina

dorsal, choque eléctrico, piano destrozado y molido por un hacha y los vellos,

las barbas y el escroto, se erizan puercoespín y las manos se hinchan de

amoratadas

venas, el cuerpo se sacude convulsiones violentas y todo dura sólo, apenas, un

segundo

y una última ola de sangre oxigenada nos regresa a la calma.

 

 

Fotografía: Wikipedia CC BY-SA 4.0

 

 

 

Mario Bojórquez: “Expresso at Soho”

 

 

Poesia tradotta da Sofia Mercatelli (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

expresso at soho

 

Io sono quello che prende il caffè

sotto gli zoccoli dei cavalli

Sono venuto dalla Zona Río di Tijuana

Dal Cecut a provare le vostre zollette di zucchero

Non mi fido del Village né dei suoi classici tuguri

mi piace SoHo, quartiere di pittori e galleristi

e nella tovaglia individuale macchiata di menta

dico al mio amico Poncho che qui

e a Sant-Germain-des-Prés

nel Les Deux Magots

il caffè ha lo stesso sapore

che nel El Taquito della Leyva

 

Leído por Blanca Palomero

expresso at soho

 

Yo soy ese que toma café

bajo los cascos de los caballos

He venido desde la Zona Río en Tijuana

Desde el Cecut a probar sus cubos de azúcar

No confío en el Village ni en sus antros clásicos

me gusta el SoHo barrio de pintores y galeristas

y en el mantel individual manchado de menta

le digo a mi amigo Poncho que aquí

y en Saint-Germain-des-Prés

en Les Deux Magots

el café sabe igual

que en El Taquito de la Leyva

 

Fotografía: Wikipedia CC BY-SA 4.0

Mario Bojórquez: “Brooklyn Bridge”

 

 

Poesia tradotta da Sofia Mercatelli (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

brooklyn bridge

 

Dall’altra sponda di quello che dico

si getta un ponte per giungere alla mia parola.

Ogni volta che pronuncio il mio nome,

il mio nome giunge a me sfregiato.

Ogni volta che dico acqua, l’acqua ritorna vento,

il vento fuoco, il fuoco il mio nome esatto

ma molto più pieno, e più ignoto.

 

Lancio parole, nomi, verso l’altra sponda

ogni volta,

e ogni volta annuncia nuove intensità

di ciò che non conosco.

 

Dovrei gettare su questo ponte

ciò che non dico, il mio silenzio,

così da tornare un giorno poesia.

 

 

Leído por Blanca Palomero

brooklyn bridge

 

Desde la otra orilla de lo que digo

se tiende un puente para llegar a mi palabra.

Cada vez que pronuncio mi nombre,

mi nombre vuelve a mí desfigurado.

Cada vez que digo agua, el agua vuelve viento,

el viento fuego, el fuego mi nombre exacto

pero mucho más pleno, y más desconocido.

 

Tiro palabras, nombres, versos a la otra orilla

cada vez,

y cada vez anuncia nuevas intensidades

de lo que no conozco.

 

Habría de arrojar sobre este puente

aquello que no digo, mi silencio,

para que alguna vez vuelva poema.

 

Fotografía: Wikipedia CC BY-SA 4.0

Rubén Márquez: “Questi versi giungono diretti alla tua bocca”

 

 

Poesia tradotta da Grazia Mariani (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

4.

 

Questi versi giungono diretti alla tua bocca.

Non cercano lo sguardo né il profilo di quella.

 

Mordono i tuoi fianchi.

Si conficcano nella tua carne.

Sbocciano dal tuo ventre.

 

 

 

4.

 

Estos versos van directo a tu boca.

No buscan la mirada ni el perfil de aquella.

 

Muerden tus caderas.

Se clavan en tu carne.

Florecen por tu vientre.

 

Fotografía: Ómnibus, Revista intercultural del mundo hispanohablante n. 51

Rubén Márquez: “Lei ama la poesia”

 

 

Poesia tradotta da Grazia Mariani (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca di Presa

 

3.

 

Lei ama la poesia ma non la comprende.

 

Tu la comprendi ma non la ami.

 

Ora so

da che parte stare.

 

 

 

3.

 

Ella ama la poesía pero no la entiende.

 

Tú la entiendes pero no la amas.

 

Ahora sé

a quien darle mis favores.

 

Fotografía: Ómnibus, Revista intercultural del mundo hispanohablante n. 51

Rubén Márquez: “Ti vesti per l’amore”

 

 

Poesia tradotta da Grazia Mariani (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

2.

 

Ti vesti per l’amore quando ti chiamo

profumi con la mia bocca il tuo desiderio

lecchi l’aria che ti accarezza.

 

Sento in modo diverso il tuo vestito

la nudità tra i miei denti

ferita che brucia se sboccia.

 

Ti vesto delle mia labbra

e già non sei quella che sei

In questo istante di umidità

che ti rende piena.

 

 

 

2.

 

Vistes para el amor cuando te llamo

perfumas con mi boca tu deseo

lames el aire que te brota.

 

Siento de otro modo tu vestido

la desnudez entre mis dientes

herida que arde si florece.

 

Te visto de mis labios

y ya no eres la que eres

en este instante de humedad

que te hace plena.

 

Fotografía: Ómnibus, Revista intercultural del mundo hispanohablante n. 51

Rubén Márquez: “Quando partirò dalla tua isola”

 

 

Poesia tradotta da Grazia Mariani (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca di Presa

 

1.

 

Quando partirò dalla tua isola

per cercare altri mari e altri pomeriggi

che la memoria del mio nome

già lontana dai tuoi occhi

sia eterna tra le tue labbra.

 

Con la distanza che mi farà strada

qualcosa di me rimarrà con te

la fiamma in fin di vita

brucerà più viva per l’attesa.

 

 

 

1.

 

Cuando parta de tu isla

para buscar otros mares y otras tardes

que la memoria de mi nombre

ya lejos de tus ojos

sea eterna entre tus labios.

 

Con la distancia que abrirá mi paso

algo de mí se quedará contigo

la llama que por muerta

arderá más viva por la espera

 

Fotografía: Ómnibus, Revista intercultural del mundo hispanohablante n. 51

Gustavo Osorio: “XV”

 

 

Poesia tradotta da Alice Carsetti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca di Presa

 

xv

 

Solo

Lontano dal frastuono

Del colpo secco della morte

Forse alcuni diranno lontano

Ma no

Al di là

Del sussurro dell’invidia

Del rumore delle labbra e della lingua in scabbia

Distante da ciò che tra le labbra avete a volte sospirato

(E suonava simile al perdono)

Josefina

Io resto.

 

 

 

xv

 

Sólo

Lejos del estruendo

Del golpe seco de la muerte

Acaso algunos digan lejano

Pero no

Más allá

Del susurro de la envidia

Del rumor de lepra y la lengua en sarna

Distante de aquello que entre labios suspiraste alguna vez

(Y sonaba semejante al perdón)

Josefina

Me quedo.

 

Fotografía: Revista Electrónica de Literatura Altazor