Andrea Rivas: “Papà”

 

 

 

Poesia tradotta da Grazia Cortellino (Università degli Studi di Macerata)

 

 Papà

 

I fatti sono questi,

Un cancro al tuo stomaco mi ha lasciato senza padre

Quando io avevo due anni

 

Non ho mai chiesto di te

Non ho mai saputo la data del tuo compleanno né il giorno del tuo funerale

& ho sempre creduto che fossi ingegnere

Fino a quando ho sentito che neanche tu capivi di numeri

&  quel giorno ho accettato che forse ti sarebbe piaciuto

Sapere che sono una poetessa

 

Ho quasi raggiunto la tua età papà il mio ragazzo è già tre anni più grande di te

& quando litighiamo penso

a ciò che mi consiglieresti di fare ma cosa può consigliarmi

un uomo a metà, un uomo debole che non conosco & che non ha avuto le forze

di rimanere e di fare quello che doveva fare

che era crescere per sua figlia & darle consigli

quando anche lei sarebbe cresciuta & avrebbe avuto un ragazzo

& si sarebbe sentita persa.

 

Forse neanche a te hanno dato consigli papà

& per questo sei morto & non è stata colpa tua

ma di chi non ti ha fatto ragionare

quando ti stavi precipitando verso la morte

o sei andato via dal mio mondo perche eri stanco dei suggerimenti

& hai fatto crescere tumori che ti portassero a riposare lontano

 

Riposi papà

anche quando senti tutti i giorni le mie lamentele

il mio odio notturno verso la tua debolezza,

a essere morto con una lingua

che non mi hai regalato e che non mi hai insegnato a parlare,

-Papà vorrei scriverti in arabo  & mi fa arrabbiare

perche non hai saputo lasciare una mia voce che sapesse parlare del mio

sangue-

& dopo il mio rimorso per non aver capito

che tu non potevi decidere di rimanere?

 

Quando cancello il tuo cognome dal mio nome

non ti nego

è solo come quando mi rifiuto di vedere i video

che registrano i tuoi movimenti e la tua voce

è come negarmi di premere play al VHS

dove dice  quando sei nato e cosa ti piaceva mangiare

se odiavi i poeti

&  se mi volevi bene & se sognavi

o se eri un buon amico o un nefasto perdente

 

Pero papà voglio che tu capisca

Che io non posso sapere queste cose

Che afferrarti mi fa male

Che la tua immagina vuota è la cosa più accogliente

& la più bella eredità che potessi chiedere

Che questa poesia esiste solo perche so che

Finché non si avvii il videoregistratore

Posso disegnare il tuo viso e chiamarti papà

& chiederti consigli & pensare che stai ascoltando

E che vuoi ascoltare e che ti piace leggere poesie

Che ti piace che ti parli e che ti chieda consigli

& quando si riproduca il sapere papà & sappia chi sei

& non mi rimane nulla da sapere di te

la poesia si chiude

& tu muori papà

muori.

 

 

 

الاب

 

Los hechos son estos

un cáncer en tu estómago me dejó sin padre

a los dos años 

 

 Nunca pregunté por ti nunca supe

tu cumpleaños ni la fecha de tu funeral

& siempre creí que eras ingeniero

hasta que en algún lado escuché que tú

tampoco entendías de números & ese día

asumí que quizá te hubiera gustado saber

que soy poeta 

 

Casi alcanzo tu edad papá mi novio ya es tres años más grande que tú

& cuando peleamos pienso

qué me aconsejarías hacer pero qué puede aconsejarme

un hombre-a-medias un hombre débil que no conozco & que no tuvo las

fuerzas

para quedarse a hacer lo que tenía que hacer

que era crecer para su hija & darle consejos

cuando ella también creciera & tuviera un novio

& estuviera perdida 

 

Quizá a ti tampoco te dieron consejos papá

& por eso te moriste & no fue tu culpa

sino de los que no te hicieron entrar en razón

cuando te abalanzabas hacia la muerte

o te fuiste de mi mundo porque estabas harto de sugerencias

& creciste tumores que te llevaran a descansar lejos 

 

¿Descansas papá

aún cuando escuchas mis quejas diarias

mi odio nocturno a tu debilidad

a haberte muerto con una lengua

que no me regalaste que no me enseñaste a hablar

-papá yo quiero escribirte en árabe & me da rabia

porque tú no supiste dejarme una voz mía que supiera hablar de mi sangre-

& luego mi arrepentimiento por no saber entender

que tú no podías decidir quedarte? 

 

Cuando tacho tu apellido de mi nombre

no te niego

es solo como cuando me niego a ver los videos

que guardan tus movimientos y tu voz

como negarme a darle play al VHS

donde dice cuándo naciste & qué te gustaba comer

si odiabas a los poetas

& si me querías & si tenías sueños

o si eras un buen amigo o un nefasto perdedor

pero papá quiero que entiendas

que yo no puedo saber esas cosas

que aprehenderte me hace daño

que tu imagen vacía es lo más cálido

& la mejor herencia que puedo pedirte

que este poema solo existe porque yo sé

que mientras no inicie la videocasetera

yo puedo dibujarte un rostro & llamarte papá

& pedirte consejos & pensar que escuchas

que quieres escuchar que te gusta leer poemas

que te gusta que te hable que te gusta que te pida consejos

& cuando se reproduzca el conocimiento papá & sepa quién eres

& no me quede nada más por saber de ti

el poema se cierra

& te mueres papá

te mueres. 

 

Fotografía: Leviatán, Periódico cultural con un toque político.

Mario Bojórquez: “Casida del odio”

 

 

 

Poesia tradotta da Sofia Mercatelli (Università degli Studi di Macerata)

 

casida del odio

 

I

Tutti abbiamo una particella di odio

un lieve filamento tingendo di azzurro il giorno

in un tetro letto di magnolie.

 

 

II

Tutti

abbiamo una particella di odio macerando i suoi succhi,

incorniciando la sua allegra fioritura,

  la sua frutta languida.

Ma che mari

oh, che mari, che abissi tempestosi colpiscono

contro il petto e al posto di sorrisi aprono artigli zanne?

Alza il mare la sua sottoveste fiorita, sotto la sua pelle va

crescendo un’onda frastagliata nella sua futile vivace sfrontatezza.

Alza il mare il suo odio e il rumore si agita contro i muri

casti dell’acqua e dietro, più dietro viene un’altra onda, un altro fermento,

un’altra forma segreta che il mare da al suo odio, si alza lenzuolo

di schiuma, si alza costellato di urgenze; è monumento

nell’acqua della furia senza freno.

 

 

III

Tutti abbiamo

una particella di odio

e quando il ferro arde nei fianchi segnati

e si sente l’odore della carne bruciata

c’è un grido profondo, una maschera a fuoco

che incendia le parole.

 

 

IV

Tutti abbiamo una

particella di odio.

E i nostri cuori

che furono creati per accogliere amore

contorcono i muscoli, bombardano

i succhi esasperati dell’ira.

E i nostri cuori

un altro momento così pieno

contraggono ogni fibra

e esplodono.

 

 

V

Tutti abbiamo una particella

di odio

un fuoco alto bruciandoci da dentro

un prurito letale che pervade i nostri organi.

Sì, perché dove prima c’era

sangue caldo, fioriture di ossa esplosive,

midollo senza tarlo,

caparbiamente, ostinatamente,

va crescendo in noi l’odio con la sua lingua scottata

per l’aceto terribile dell’assurdità.

 

 

VI

Tutti abbiamo una particella di

  odio

e quando l’indice si agita segnalando con il fuoco

quando imprime nell’aria la sua traccia del vile,

quando si erge pieno falange per falange,

Oh! che pioggia di acidi rimproveri,

che difficili continenti si contraggono.

Il gesto, la mossa, la smorfia

il dito accusatorio

e l’unghia,

oh! L’unghia,

il tendine rotella affondando nel petto.

 

 

VII

Tutti abbiamo qualcosa da rimproverare a mondo,

la sua inesatta porzione di piacere e di melanconia,

la sua lenta fastidiosa virtù di rimanere più in là,

 in un’altra parte,

dove le nostre mani si chiudono con rumore

afferrate all’aria della delusione; anche la sua

perché no, condizione di margine, di estrema freddezza,

di abisso cieco; la sua inopportunità, le sue premure.

 

 

VIII

Tutte abbiamo qualcosa da dire sugli altri

e tacciamo.

Ma sempre dietro al suo sorriso

dei denti felici, perfetti e bianchissimi

nel sonno distruggiamo volti, corpi, città.

Nessuno potrà mai contenere la nostra furia.

Siamo assassini sorridenti, piromani,

amabili carnefici.

 

 

 

IX

(CODA)

In qualche parte del nostro corpo

c’è un allarme improvviso

un termostato avverte inviando delle pulsioni

qualcosa che dice:

 ora

e sentiamo il sangue contaminato e profondo a punto di zampillare dagli occhi

le mandibole tremano e masticano boccate d’aria avvelenata e la spina

dorsale, scossa elettrica, piano strozzato e tritato da un’ascia e i peli,

la barba e lo scroto, si rizzano porcospino e le mani si gonfiano di lividi

vene, il corpo si agita per le convulsioni violente e tutto dura, circa, un secondo

e un ultimo fiotto di sangue ossigenato ci riporta alla calma.

 

 

 

Leído por Blanca Palomero

casida del odio

 

I

Todos tenemos una partícula de odio

un leve filamento dorando azul el día

en un oscuro lecho de magnolias.

 

 

II

Todos

tenemos una partícula de odio macerando sus jugos,

enmarcando su alegre floración,

su fruta lánguida.

¿Pero qué mares

ay, qué mares, qué abismos tempestuosos golpean

contra el pecho y en lugar de sonrisas abren garras colmillos?

Levanta el mar su enagua florecida, debajo de su piel va

creciendo una ola dispersada en su vacua intrepidez elástica.

Levanta el mar su odio y el estruendo se agita contra los muros

célibes del agua y atrás y más atrás viene otra ola, otro fermento,

otra forma secreta que el mar le da a su odio, se expande sábana

de espuma, se alza torre tachonada de urgencias; es monumento

en agua de la furia sin freno.

 

 

III

Todos tenemos

una partícula de odio

y cuando el hierro arde en los flancos marcados

y se siente el olor de la carne quemada

hay un grito tan hondo, una máscara en fuego

que incendia las palabras.

 

 

IV

Todos tenemos una

partícula de odio.

Y nuestros corazones

que fueron hechos para albergar amor

retuercen hoy los músculos, bombean

los jugos desesperados de la ira.

Y nuestros corazones

otro tiempo tan plenos

contraen cada fibra

y explotan.

 

 

V

Todos tenemos una partícula

de odio

un alto fuego quemándonos por dentro

una pica letal que horada nuestros órganos.

Sí, porque donde antes hubo

sangre caliente, floraciones de huesos explosivos,

médula sin carcoma,

empecinadamente, tercamente,

nos va creciendo el odio con su lengua escaldada

por el vinagre atroz del sinsentido.

 

 

VI

Todos tenemos una partícula de

odio

y cuando el índice se agita señalando con fuego,

cuando imprime en el aire su marca de lo infame,

cuando se erecta pleno falange por falange,

¡Ah! qué lluvia de ácidos reproches,

qué arduos continentes se contraen.

El gesto, el ademán, la mueca,

el dedo acusativo

y la uña,

¡ay! la uña,

corva rodela hincándose en el pecho.

 

 

VII

Todos tenemos algo que reprocharle al mundo,

su inexacta porción de placer y de melancolía,

su pausada enojosa virtud de quedar más allá,

en otra parte,

donde nuestras manos se cierran con estruendo

aferradas al aire de la desilusión; su también,

por qué no, circunstancia de borde, de extrema lasitud,

de abismo ciego; su inoportunidad, sus prisas.

 

 

VIII

Todos tenemos algo que decir de los demás

y nos callamos.

Pero siempre detrás de la sonrisa

de los dientes felices, perfectos y blanquísimos

en sueños destrozamos rostros, cuerpos, ciudades.

Nadie podrá jamás contener nuestra furia.

Somos los asesinos sonrientes, los incendiarios,

los verdugos amables.

 

 

IX

(CODA)

En alguna parte de nuestro cuerpo

hay una alarma súbita

un termostato alerta enviando sus pulsiones

algo que dice:

 ahora

y sentimos la sangre contaminada y honda a punto de saltarse por los ojos,

las mandíbulas truenan y mascan bocanadas de aire envenenado y la espina

dorsal, choque eléctrico, piano destrozado y molido por un hacha y los vellos,

las barbas y el escroto, se erizan puercoespín y las manos se hinchan de

amoratadas

venas, el cuerpo se sacude convulsiones violentas y todo dura sólo, apenas, un

segundo

y una última ola de sangre oxigenada nos regresa a la calma.

 

 

Fotografía: Wikipedia CC BY-SA 4.0

 

 

 

Pilar Pastor: “Sentinella”

 

 

 

 

Poesia tradotta e letta da Giada Battan (Università degli Studi di Trento)

 

sentinella

 

Vibra all’orizzonte con la sua frusta

la luna, candido stiletto

che infine si spezza

con un frastuono canterino

in un vaso di coccio.

 

Si alza lievemente il mattino

per consentire il canto,

le piumose note,

l’ondeggiare presuntuoso di rami

e di steli…

 

Corre. Corre a nascondersi la notte

nell’ombra scura degli alberi

e tu, morte sprovveduta,

diventi superba sentinella di luce.

 

 

 

Poema leído por la autora

 

atalaya

 

Vibra en el horizonte con su látigo

la luna, estilete blanco

que al fin se quiebra

con un estruendo cantarín

en vasija de barro.

 

Se alza levemente la mañana

para permitir el canto,

las emplumadas notas,

el cimbreo presuntuoso de ramas

Y de tallos…

 

Corre. Corre a esconderse la noche

en la negra sombra de los árboles

y tú, desprevenida muerte,

te vuelves soberbia atalaya de luz.

 

(Humo, 2017)

Javier Pérez Barricarte: “Casa”

 

 

 

 

Poesia tradotta e letta da Helen Mori (Università degli Studi di Trento)

Casa

 

Là dove non c’è spazio per gli dèi

non c’è spazio nemmeno per noi.

 

Ci indicarono

la contingenza e il terrore,

l’utilità di accompagnarsi

nell’oscurità,

l’immortalità che nulla può

contro l’oblio.

 

Una cartolina che dica

non sono mai stato qui,

qualcun altro l’ha vissuto per me,

per ora prevalgo.

 

Di questo si tratta,

di ripetere l’aneddoto sentito

durante un viaggio che non s’è fermato a contemplare

quanto alti sono i sogni.

Più alta è la notte.

 

Rare volte ci incrociamo

sulle scale piane

delle astrazioni

e raggiungiamo posti

che non sappiamo abitare.

 

E poi ci addormentiamo

mentre la vita ci scopre

zeppi di esempi.

Qui la fontana,

lì il fiume,

là il mare.

 

(Quizá nos baste la tierra, Pre-Textos, Valencia 2017)

 

 

Hogar

 

Donde no caben los dioses

tampoco hemos entrado nosotros.

 

Nos señalaron

la contingencia y el terror,

la conveniencia de acompañarse

en lo oscuro,

la inmortalidad que nada puede

contra el olvido.

 

Una postal que diga

nunca estuve aquí, lo viví por otro,

de momento he prevalecido.

 

De eso se trata,

de repetir la gracia oída

en un viaje que no se detuvo a contemplar

qué altos son los sueños.

Más alta es la noche.

 

Rara vez nos cruzamos

en las escaleras planas

de las abstracciones

y llegamos a lugares

que no sabemos habitar.

 

Entonces nos quedamos

dormidos y la vida nos descubre,

plagados de ejemplos.

Aquí la fuente,

allí el río,

allá el mar.

 

Poema leído por el autor

Fotografía: Instituto de Estudios Naturales

Armando López Castro: “Resistire”

 

 

 

 

Poesia tradotta e letta da Alberto Martinelli (Università degli Studi di Trento)

 

Resistere

 

Non c’è libertà senza la parola,

senza preservarne il senso originale.

Perché scrivere è resistere, lasciare la ferita

aperta, smettere di essere per essere parlato

e starsene come il riccio nel suo segreto.

 

Togliti di mezzo, non intrometterti,

rimani stagliato nella distanza,

senza fare un passo falso, e accogli

un’assenza nell’ascolto, lasciando

che passino le parole non tue

come se celassi il fuoco rubato

o l’acqua rimasta nel deserto.

 

Guardiano del limine, del titubare,

del dubbio, le parole che ricevi,

che fonicamente si attraggono o respingono,

macchiate dalla vita o dalla morte.

Siamo di passaggio, come in discussione,

e se la poesia è un patto con l’impossibile,

un dire contro ogni evidenza,

bisogna entrare nell’abisso del silenzio

per non continuare a dipendere dalla realtà.

 

Prima il nulla, poi l’universo,

e in questo scambio di esperienze,

al poeta non resta che lasciarle scorrere,

recuperare nel ricordo certi momenti,

punti luminosi di un’altra vita più alta.

 

 

Resistir

 

Ninguna libertad se da sin la palabra,

sin mantener intacto su sentido original.

Porque escribir es resistir, dejar la herida

abierta, dejar de ser para ser hablado

y quedar como el erizo en su secreto.

 

Quítate de en medio, no interrumpas,

permanece erguido en la distancia,

sin dar un paso en falso, y recibe

una ausencia en la escucha, dejando

pasar las palabras que no te pertenecen,

como si guardaras el robo de la antorcha

o el agua disponible en el desierto.

 

Guardián de la frontera, del titubeo,

de la duda, las palabras que heredas,

que fónicamente se atraen o se rechazan,

están manchadas por la vida y por la muerte.

Somos transitorios, como un entredicho,

y si el poema es un trato con lo imposible,

un decir contra toda evidencia,

hay que entrar en el abismo del silencio

para no seguir dependiendo de la realidad.

 

Antes la nada, después el universo,

y en este intercambio de experiencias,

al poeta sólo le queda dejarlas fluir,

recuperar en el recuerdo ciertos momentos,

puntos luminosos de otra vida más alta.

 

(Bajo la corteza, Círculo rojo, Almería 2017)

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Fotografía de Carlos Vicente Rubio (iLeón)

Rafael-José Díaz: “La notte”

 

 

 

 

Poesia tradotta e letta da Benedetta Rebonato (Università degli Studi di Trento)

 

La notte

A Daniel Duque

 

 

Non credo si stia

così male sotto la terra:

 

ci sarà un soave silenzio intenso

come quello di oggi,

 

di questa notte

di sassi sommersi;

 

non avremo più nessun obbligo

di alzarci presto

 

per lavorare e, al contrario,

quando pioverà, la terra,

 

mescolata con l’acqua,

sarà un dolce caffè

 

per i resti della bocca

che non soffrirà più i dolori del cancro;

 

saremo una parte

della materia che andrà, in chissà quale millennio,

 

a riunirsi con quella stella

che ricoprì di vita la nostra carne,

 

e quella stella, a sua volta,

più avanti,

 

farà parte di un’altra

stella maggiore che la riassorbirà;

 

così viaggeremo

per l’universo

 

come potrei farlo già questa notte

in un sogno grato, se riuscissi

 

a dormire dopo queste parole

che solo hanno scosso

 

brevemente il notturno

silenzio.

 

(Un sudario, Pre-Textos, Valencia 2015)

 

 

 

La noche

 

Para Daniel Duque

 

No creo que se esté

tan mal bajo la tierra:

 

habrá un suave silencio concentrado

parecido al de hoy,

 

al de esta noche

de piedras sumergidas;

 

no tendremos ninguna obligación

de levantarnos pronto

 

a trabajar y, en cambio,

cuando llueva, la tierra,

 

mezclada con el agua,

será un dulce café

 

para los restos de la boca

que ya no sufrirá los dolores del cáncer;

 

seremos una parte

de materia que irá, en algún milenio,

 

a reencontrarse con el astro

que revistió de vida nuestra carne,

 

y ese astro, a su vez,

más adelante,

 

pasará a formar parte de algún otro

astro mayor que lo reabsorba;

 

viajaremos

así por todo el universo

 

como podría hacerlo ya esta noche

en algún sueño grato, si lograra

 

dormir después de estas palabras

que sólo han perturbado

 

brevemente el nocturno

silencio.

 

Poema leído por el autor

 

 

Adalberto García López: “Lamento di chi si annoda una cravatta davanti allo specchio”

 

 

 

Poesia tradotta da Erika Romano (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

LAMENTO DI CHI SI ANNODA UNA CRAVATTA DAVANTI ALLO SPECCHIO

 

Quando, quando hanno cambiato,

mi chiedo,

queste dita le loro abitudini,

quando questi polpastrelli

hanno assunto lo scrupoloso compito

di annodare la cravatta?

Qual nobile tocco si verifica

quando mantengono il lembo di seta:

di polpastrello in polpastrello

c’è una sottile comunicazione,

sono interpreti di una musica

in silenzio composta.

Queste dita che si sono abituate

allarte del gioco, di sostenere

qualche giocattolo, qualche pallina;

a sentire la terra, a volte.

 

In sincronia legano la cravatta

e fanno i nodi necessari;

aggiustano quanto la simmetria permette.

E riposano quando uno guarda

il suo viso nello specchio, lanima

caduta e sola poiché la vita

è rimasta indietro, in un altro tempo

dove le mani erano mani

e non due pinze che legano

la corda del suicidio diario.

 

Come sono fredde e come sono lunghe

le dita di queste mani

di qualcuno che ancora non sa

quale sia la strada per tornare allinfanzia.

 

 

LAMENTO DE QUIEN SE AMARRA UNA CORBATA FRENTE AL ESPEJO

 

¿Cuándo, cuándo cambiaron,

me pregunto,

estos dedos sus hábitos,

cuándo estas yemas

adquirieron el minucioso oficio

de anudar la corbata?

Qué noble tacto surge

cuando sostienen la tira de seda:

de yema a yema

hay una sutil comunicación,

son intérpretes de una música

en silencio acompasada.

Estos dedos que se acostumbraron

al oficio del juego, de sostener

algún juguete, alguna pelota;

de sentir la tierra, a veces.

 

Coordinadamente enlazan la corbata

y hacen los nudos necesarios;

ajustan cuanto la simetría permite.

Y descansan cuando uno mira

su rostro en el espejo, el ánimo

caído y a solas porque la vida

se quedó atrás, en otro tiempo

donde las manos eran manos

y no dos pinzas que atan

la cuerda del suicidio diario.

 

Qué fríos y qué largos

los dedos de estas manos

de alguien que ya no sabe

cuál es el camino a la infancia.

Adalberto García López: “Se oltre il mio corpo”

 

 

 

Poesia tradotta da Erika Romano (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

SE OLTRE IL MIO CORPO

 

se oltre soltanto

un mancato tocco

un gesto vuoto

un battito mi lasciasse

mi lasciasse qualcosa di minuscolo

minuscolo come un dente di leone

come la sporcizia che si annida sotto le unghie

dunque

solo lì

osserverai se resto

se resto tra lerba bassa

o nei vasti giardini delloblio

come il fiore che strappato

ancora rimane nel distratto olfatto

di quelli che percorrono

vedendo

forse la strada

ma non la rotta

e se sono assente

ovverosia

in nessun luogo mi trovo

in nessun luogo mi ricordo

nominerò tutte le cose

e metterò una canzone

nella bocca di nessuno

qualcuno forse attende il mio richiamo

 

 

SI DESPUÉS DE MI CUERPO

 

si después solamente

un quebrado tacto

un gesto vacío

un latir me quedara

me quedara algo minúsculo

minúsculo como un diente de león

como la mugre que se junta en las uñas

entonces

ahí solo

observara si permanezco

si permanezco entre la baja hierba

o en los amplios jardines del olvido

como la flor que cortada

aún permanece en el desatento olfato

de los que cruzan

viendo

quizás el camino

pero no el recorrido

y si estoy ausente

es decir

en ningún lado me encuentro

en ningún lado me recuerdo

voy a nombrar todas las cosas

y pondré una canción

en los labios de nadie

alguien quizás atienda mi llamado

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Karmelo C. Iribarren: “Piccoli cataclismi”

 

 

 

Poesia tradotta da Benedetta Belfioretti (Università degli Studi di Macerata) e letta da Francesca Di Presa

 

PICCOLI CATACLISMI

 

Che proporzioni smisurate

acquisisce ciò che è minuscolo

se le condizioni gli sono favorevoli.

 

Pensa, per esempio, a una moneta

che, nel bel mezzo della notte, cade

a terra nella stanza:

sembra un piccolo cataclisma,

ma quello stesso pomeriggio

non avrebbe significato nulla.

 

A volte tutto si riduce a questo,

a mettersi seduti e pensarci.

 

 

PEQUEÑOS CATACLISMOS

 

Qué proporciones desmesuradas

adquiere lo minúsculo

si las condiciones le son favorables.

 

Piensa, por ejemplo, en una moneda

que, en mitad de la noche, cae

al suelo del cuarto:

parece un pequeño cataclismo,

pero esa misma tarde

no hubiese significado nada.

 

A veces todo se reduce a eso,

a sentarse y pensarlo.

 

Leído por Antonio Martínez Arboleda

Foto de Cordwainer CC BY SA 3.0 (Wikipedia)